domenica 16 giugno 2013

PONTELUNGO: MINATO DAI TEDESCHI NEL 1943, COSTRUITO NEL 1948.

Ponte lungo in costruzione. Foto tratta dal libro “Brisighella Com’ era…Com’ è” n. 27 del 2001 edizione Tipografia Valgimigli

RICORDO DA CHI HA PARTECIPATO ALLA COSTRUZIONE.
Si parla molto in questi giorni, di “Pontelungo” dove sono in corso i lavori di ristrutturazione per adeguarlo alle nuove norme sismiche e un rinforzamento  costruito nel lontano 1948 ben sessantacinque anni fa, come fa discutere il percorso alternativo, voluto dal sindaco Missiroli della lunghezza di un chilometro e trecento, del costo di oltre 48.000 euro, visto che l’utilizzo è per solo tre mesi e poi non servirà a nulla perché solo al servizio di un terreno di un privato. Brisighella, nel tempo di guerra era rimasta isolata, perché il ponte sulla strada provinciale chiamato “Pontelungo”  quello della strada comunale il ponte della “Busina”, e di Fognano, distrutti dalle mine dei tedeschi, l’aveva isolata e nessun automezzo arrivava compresi anche quelli tedeschi. Con la liberazione di Brisighella il 5 dicembre del 1944, dopo tre  giorni  l’otto dicembre, il paese fu invaso dagli automezzi perché le truppe alleate, che avevano liberato Brisighella, costruirono i ponti “bailey”, in ferro e legno a “Pontelungo”, e poi a Fognano e alla “Busina”, un vero successo. La vita riprese immediatamente ritrovando anche la socializzazione con le truppe alleate. Un ponte dello stesso tipo si può ancora “ammirare” nella strada comunale che attraversa la ferrovia “Faentina” per andare a “Villa Corte”.  
La vita riprese con allegria per la ritrovata libertà, il collegamento con Faenza avveniva con la “Tamburina” l’originale autobus o corriera che attraversava il ponte di ferro posto in fondo alla vecchia strada si scendeva quasi in fondo al Rio Chiè per poi risalire, una vera avventura.

Tonino Malpezzi “Naka”
Parliamo dei lavori come ricorda, un ragazzo di allora, aveva quindici anni, che partecipò  alla costruzione del ponte in cemento armato, i muratori di Lugo lo chiamavano “Sogno”, forse per l’età nella realtà Tonino Malpezzi detto ora “Naka”, “interista”.

Una memoria, una riflessione che ricorda il metodo di lavoro in quei tempi lontani che i giovani non conoscono e non  immaginano nemmeno.
Cattani Aldo “Nato
 Il giovane nel frattempo faceva anche l’aiuto barbiere o come si diceva a quei tempi il “garzone” da “barbiere” dal mitico Dante. “Sogno o Naka” trova lavoro da “bocia” (ragazzo) con l’impresa “Giovannini” di Lugo che aveva vinto l’appalto per la costruzione del nuovo ponte in “cemento armato” con colonne a pilastro e arco una novità per Brisighella,  che portava lavoro a tanti giovani in un momento di difficoltà economica ed ai tanti operai turnisti. Di quei lavoratori sono rimasti solo “Nato” Cattani Aldo novantadue anni e, “NaKa” Malpezzi Antonio anni ottantuno. Naka  ha poi lavorato come muratore specializzato  con un’impresa edile per le Ferrovie dello Stato a Bologna (anche nel cantiere per la ricostruzione della stazione ferroviaria dopo l’attentato del 2 Agosto del 1980), ora fa volontariato per il comune di Brisighella ripulendo le panche dei viali. Gli altri manovali brisighellesi tutti scomparsi diventarono bravi muratori, specializzati e anche capi cantieri lavorando nelle imprese locali e faentine, erano: Strocchi Pietro, Alpi Rinaldo, Santandrea  Biagio (padre del sacerdote missionario), Cornacchia Angelo detto Maciarì (il babbo del ceramista Adelmo), Laghi detto Zaclì (fratello di Angelo ex assessore e autista della corriera Tamburina), Malpezzi Andromaco, Campagnoni Augusto, Santandrea Raul, Tagliaferri (poi negozio giocattoli) Arcangeli ex marinaio, i muratori di Lugo erano solo cinque. Fra i turnisti Spada, Moretti, Sassi babbo di Ivo Sassi e tanti altri
Il cantiere, finanziato dalla Provincia di Ravenna assistenti geom. Utili e Monti, per realizzare il ponte fu impostato dal lato di Faenza, l’impresa costruì un fabbricato per sede del cantiere, ancora esistente dove abitò per tanto tempo la famiglia Verità,  (con quattro figli un maschio e tre belle ragazze Nives, Rosa, Ernestina) ora ha sede la nota ditta di Cicognani Guglielmo, l’edificio serviva come ufficio e deposito del cemento.
Il cemento per fare il calcestruzzo dei pilastri in quel tempo, non arrivava come ora in betoniera e pompe già pronto, ma in sacchetti da cinquanta chili che doveva essere scaricato a spalla dagli operai, mescolato poi alla sabbia e alla ghiaia anche questa arrivava con camion senza ribaltabile e scaricato a badilate. Il “bocia” era addetto a scaricare il cemento, lavare la ghiaia per pulirla e renderla migliore per realizzare il calcestruzzo, tirare i “carrioloni” piene di calcestruzzo,  per inserirlo nelle colonne realizzati con cassoni di legno e tenuti fermi da travi in “legno”. Le mani dei lavoratori erano senza protezione come “guanti”, non esistevano, e crepavano per il contatto con il cemento. Fra gli altri lavori da eseguire portare da bere ai colleghi che andava a prendere al vicino casello ferroviario. All’inizio il calcestruzzo andava verso il basso, la fatica era minore, ma poi andava portata in alto tirando le carriole. La struttura per sostenere i pilastri che ora sono fatta con una struttura in tubolari di ferro a  quel tempo in travi di legno legato agli altri con grande fatica e tempo per costruirlo che smontato cadeva in fondo al rio e  i giovani dovevano riportare in altro e pulire.
Il lavoro durò circa due anni! La notte il cantiere era controllato da un sorvegliante che veniva tutti i giorni in bicicletta da Lugo chiamato “Mozì” perché invalido senza una parte del braccio. La prima estate per uno sciopero a livello nazionale il cantiere rimase fermo circa un mese mezzo, e “Sogno” ne fu felice, al contrario degli altri operai, il pomeriggio si recava all’Ufficio di collocamento che si trovava nell’Ufficio di fronte al Comune, ora c’è il Bar “La Loggia”, per sapere se lo sciopero era sospeso. Il capo cantiere “Minghetti” di Lugo, a mezzogiorno, rispetto agli altri operai andava a mangiare dalla “Morena”, ora Albergo Ristorante “La Rocca”. Il pomeriggio mandava “Sogno” a prendere del vino supplementare per ristorarsi, un’abitudine tradizionale per gli operai di quel tempo, al ritorno si fermava al Circolo Borsi, chiamato, “e caghet” dal tempo del fascismo, per vedere gli amici e purtroppo si attardava un po’ troppo.  Minghetti, dopo un po’, notando che per mangiare metteva solo un’ora (viaggio e pranzo) “Sogno” metteva lo stesso tempo, gli cambio l’orario. Il vino lo mandava a prendere solo alle 16,45 prima del termine dei lavori e quindi doveva essere puntuale. Di fronte al cantiere emergeva la mole del ponte della ferrovia Faentina fatto nella forma tradizionale in grandi pilastri e volte in cemento dalla ditta Bianchini di Firenze. Sogno lavorava in coppia con Maciarì che teneva fermo lo scalpello e lui  più giovane batteva con il martello. La fine del lavoro, doveva essere per le ore diciassette, gli operai smettevano invece con il passaggio del treno alle ore 17,15, fungeva da orologio, che nessun aveva a quel tempo!


Ponte lungo in costruzione particolare . Foto tratta dal libro “Brisighella Com’ era…Com’ è” n. 27 del 2001 edizione Tipografia Valgimigli

Durante la costruzione del ponte così alto con complesse strutture di legno non avvenne nessun incidente agli operai, pensate come sono cambiati, i tempi ora sono necessari controllori della sicurezza, perizie di periti, ASL, caschi, allacci di sicurezza, passaggi pedonali protetti e tantissimo altro, allora con la buona volontà degli operai e dell'impresa si realizzò, come tante altre per tanto tempo, un’opera imponente senza tanti costi superiori per la “sicurezza” come avviene oggi e, gli incidenti sul lavoro sono aumentati!



Ponte lungo come era nel 2013 (foto Galassini)

Dopo due anni al termine dei lavori gli operai che avevano realizzato il grande “Pontelungo” furono incaricati di demolire il ponte Bailey, sotto la supervisione di un tecnico militare e vendere il materiale ricavato pagandosi così il lavoro!
Grazie a “Naka” per averci raccontato una storia che forse per tanti giovani può sembrare un “Sogno” perché non conoscono come si lavorava in quei tempi. Vincenzo Galassini



  

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