sabato 2 novembre 2013

MONASTERO DI FOGNANO

Chi percorre il tragitto da Faenza a Firenze lungo la strada della valle del Lamone, non può non restare impressionato dall’imponenza davvero “fuori scala” del grande edificio che si erge poco dopo l’ingresso nell’abitato di Fognano. Da solo, il palazzo che ospita il monastero delle suore domenicane del SS. Sacramento e l’Istituto “Emiliani” occupa una buona metà della borgata, o almeno della sua parte più antica. È allora facile immaginare che impatto ebbe la sua costruzione nella vita della comunità, nel corso di un lungo cantiere che si protrasse dal 1822 al 1868. Una presenza che, però, non ha avuto i suoi effetti solo nella piccola Fognano. Il monastero e il collegio femminile da esso a lungo ospitato rappresentano una delle esperienze più significative nella storia delle istituzioni educative della Romagna, ma di tutta l’Italia, negli ultimi due secoli. Per la verità, le origini dell’istituto sono anche più antiche. Un monastero femminile dell’ordine domenicano (intitolato a Santa Caterina) era stato infatti fondato nella piccola comunità della val Lamone già alla metà del ‘500. Soppresso in età napoleonica, lo stabile che lo ospitava era stato ceduto ad un privato, che a sua volta lo aveva affittato ad alcune ex monache secolarizzate. Una volta restaurato il governo pontificio nel 1815, il nuovo e intraprendente arciprete di Fognano, don Giacomo Ciani, aveva cominciato a progettare la sua riapertura, ottenendo dal governo, nel 1820, il relativo decreto e un modesto sussidio. Era solo un primo passo, perché le condizioni del vecchio palazzo, ormai cadente, non permettevano un effettivo ritorno della comunità monastica fra le sue mura. Don Ciani si rivolse allora al nobile faentino Giuseppe Maria Emiliani. Uomo di cultura e letterato, come responsabile dell’istruzione pubblica del Comune di Faenza l’Emiliani aveva già maturato la consapevolezza della necessità di un’istituzione che, sul modello dei collegi femminili di S.


Chiara nella stessa Faenza e di S. Giovanni Battista a Bagnacavallo, unisse la piena ortodossia cattolica all’apertura a una forma moderna di educazione e di istruzione per le ragazze “di civile condizione”. Fu così che il ricco faentino, accettata la proposta di don Ciani, acquistò nel 1821 il vecchio stabile, e sulle sue fondamenta iniziò la costruzione del grande palazzo, su progetto dell’architetto faentino Pietro Tomba, con la precisa condizione che accogliesse anche un collegio femminile. L’anno seguente il vescovo Stefano Bonsignore promulgò le nuove costituzioni del monastero, che venne ufficialmente riaperto il 24 giugno 1823 con l’antico nome di S. Caterina (nel 1832, con l’inaugurazione della nuova chiesa, mutò l’intitolazione al SS. Sacramento), mentre il collegio fu inaugurato il 1° gennaio del ’24.
Stabilito così uno dei pilastri (quello economico-amministrativo) della nuova istituzione, restava da definirne l’altro aspetto fondamentale, e cioè quello specificamente educativo. A questo fine fu realizzato, in primo luogo, un rafforzamento della comunità religiosa, con la chiamata di monache giovani e adatte al nuovo compito. Fra queste compariva la poco più che trentenne Rosa Brenti, che già si era fatta apprezzare nell’attività di insegnamento fra le Maestre Pie di Sansepolcro. Divenuta ben presto priora, sotto la sua carismatica e lunghissima direzione (morì nel 1872) il collegio di Fognano s’impose come una delle istituzioni più prestigiose d’Italia nel campo dell’educazione femminile. Certo, non mancarono momenti di difficoltà, ad esempio quando Emiliani subì una breve detenzione da parte del governo dopo il fallimento dei moti liberali del 1831-32, o quando, negli stessi anni, il cardinale Giuseppe Fesch, zio materno di Napoleone e protettore del monastero, ritirò improvvisamente il notevole sostegno economico promesso per il completamento del palazzo a causa del rifiuto della Brenti di aggiungere il suo nome, nell’intitolazione del collegio, a quello di Emiliani. Quest’ultimo morì nel 1847, dopo avere lasciato tutti i suoi averi all’istituzione da lui creata. La quale, nel frattempo, aveva trovato un altro solido pilastro cui appoggiarsi, e cioé il cardinale e vescovo di Imola Giovanni Maria Mastai Ferretti, che prese particolarmente a cuore le sorti dell’istituto gratificandolo anche di molte visite. Particolarmente significative le ultime due: la penultima, nel giugno del 1846, nella sosta del viaggio verso il conclave che lo avrebbe eletto papa con il nome di Pio IX; l’ultima, undici anni dopo, durante il celebre viaggio del 1857 in cui il pontefice, come capo del governo temporale, diede il simbolico addio alla Romagna alla vigilia dell’unificazione nazionale. Nel 1862 il collegio, all’apice del suo fulgore, ospitava un’ottantina di religiose e 111 educande provenienti da tutta Europa. Il clima politico del nuovo stato, però, non mancò di riverberare ben presto i suoi effetti in un’istituzione percepita ora da molti come un’ingombrante eredità del passato. Già con la legge di soppressione degli ordini religiosi del 1866, ad esempio, i beni del monastero furono confiscati dal governo, e fino alla fine del secolo, pur continuando le monache e il collegio a risiedere nell’edificio, fu vietata ogni nuova ordinazione. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1915, il collegio venne chiuso, e il monastero trasformato in ospedale militare, con le monache a rivestire il ruolo di infermiere. Furono quattro anni metaforicamente “in trincea” anche per loro, con un contraccolpo economico che portò l’istituto sull’orlo della chiusura. Anche questa volta, però, la crisi fu superata, e nel 1922 il monastero poté festeggiare il suo primo secolo di vita con la riapertura del collegio, avvenuta però su basi diverse rispetto al passato: oltre al tradizionale corso di studi riservato alle ospiti del convitto e modellato su quello delle scuole magistrali statali, si istituì infatti una seconda sezione, ben più affollata, aperta ad alunni esterni, che comprendeva le scuole elementari e la scuola di lavoro. In realtà, già da una ventina d’anni era stata avviata una scuola di ricamo, destinata specificamente alle giovani di Fognano. Questa iniziativa, e la riforma del 1922, furono i primi passi verso un processo che nel corso del ‘900 portò l’istituto ad aprirsi sempre più verso l’esterno, allargando progressivamente la sfera della sua azione educativa. Alla metà degli anni ’20, ad esempio, furono inaugurati l’asilo e l’oratorio festivo. Superata la bufera della guerra (quando la comunità monastica aprì le porte a decine di sfollati e pagò anche un pesante tributo di sangue con la morte di tre suore in seguito a un bombardamento) le nuove iniziative si susseguirono a ritmo serrato: nel 1955 fu aperta una scuola materna a Reda, nel ’56 un convitto universitario a Bologna (e uno a Roma nel 1969), fra gli anni ’50 e ’60 vennero organizzati corsi professionali a Fognano, nel 1975 fu assunta la direzione della scuola materna di Brisighella. Negli anni ’70, però, il clima socio-politico complessivo stava ormai diventando sempre più ostile verso il modello educativo incarnato dall’istituto fognanese. Il 1977 fu l’ultimo anno di attività dei corsi scolastici, e nel 1982 la chiusura definitiva del convitto (sopravvissuto fino ad allora al solo fine di ospitare i ragazzi dei centri minori della vallata che frequentavano le medie a Fognano) segnò davvero, per l’istituto Emiliani, la fine di un’epoca.
Anche in questo caso, però, la forza dell’istituzione riemerse nella capacità di ridefinirsi, adattandosi ai tempi nuovi senza con ciò perdere la propria identità più profonda. Oggi l’Istituto conserva la scuola materna (e nido per i più piccoli) diretta erede del vecchio asilo, divenuta scuola paritaria riconosciuta dallo Stato, e gestisce il collegio universitario femminile “S. Domenico” di Roma. Contestualmente, il monastero ospita una casa di accoglienza e spiritualità, destinata a gruppi di preghiera e di studio, a convegni di vario genere, agli ospiti desiderosi di riposo e vacanza. Dimenticati gli anni della “contestazione”, non mancano richieste neppure per la riapertura del convitto, anche se si tratta di un’ipotesi al momento non all’ordine del giorno. Dopo quasi due secoli, per il grande palazzo sulle rive del Lamone non è ancora giunto il momento di chiudere i battenti. (Andrea Casadio) (Foto Lidia Bagnara)

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