sabato 23 febbraio 2013

A PROPOSITO DI MONTE DEI PASCHI DI SIENA 1472: A BRISIGHELLA C’ERA IL MONTE PIETA NATO NEL 1542. ANALOGIE?



Dopo la cacciata degli ebrei da Brisighella  che gestivano un banco. Antonio Metelli  nel libro Storia di Brisighella descrive la situazione fosse grave è indubbio,  se il Consiglio della Valle fu costretto il 1 ottobre 1545 ad inviare tre ambasciatori al Legato pontificio, perché prendesse provvedimenti causa “le gravi occorrentiie…et perché li huomini non siano molestati….et li facinorosi siano crudelmente puniti nell’una e nell’altra”. Nel 1550 l’economia della Valle sembra migliorata, se il consiglio prese in esame i Capitoli del Monte di Pietà e approvatili, ordinò di estendere la colletta agli abitanti “di Stifonti e del Castello di Cerone” (Stifonti sorgeva a due chilometri da Cerone che era  quattro chilometri da Casola Valsenio), delegando due persone di fiducia che furono chiamati capitolari. Dopo quell’anno si parla del Monte per altri diciotto anni il perché  ci appare evidente: le risorse della Comunità  sono nuovamente salassate da ulteriori richieste di denaro, le quali raggiunsero il loro vertice, quando Alfonso d’Este (Alfonso Este venne a Brisighella  il 22 dicembre 1562 con un fastoso seguito e vi stesse sei giorni. Il governo della  valle durò appena cinque anni perché in disaccordo con Pio IV  questioni di Comacchio e Lugo glielo tolse nel maggio 1565)     mandò un certo Michele Castagnino e rappresentarlo. Il 9 maggio 1568 il Consiglio della Valle  si riunì per la formazione del Monte di Pietà e approvò la seguente delibera “ I Signori Governatori di Brisighella et Val Lamone habino autorita potesta et balia del Consiglio Generale di fare et ordinare a loro modo il monte di pietà di Brisighella una compagnia di uomini da bene, di buona coscentia fama habia l’autorità circa il monte che li sarrà concessa et data dalli Sig.ri governatori per li Cappituli”
Lo statuto, evidentemente di abbisognevole di ampie modifiche rispetto a quello già approvato nel 1550, ebbe tutti i crismi della legalità il 27 maggio 1569. Per esso la direzione è affidata ai conservatori i quali eleggono nel loro seno ogni anno due depositari cui spetta il controllo amministrativo. Tutte le operazioni contabili e la responsabilità della cassa sono della competenza del massato, eletto il primo giorno di ogni anno fra gli abitanti della Valle “esperti e di buona fama”  con uno stipendio di venti bolognini. (La moneta fu tolta di circolazione nella seconda metà del secolo XVII; aveva un valore di circa 90 centesimi nel 1861) Circa i pegni ricevuti si obbliga lo stesso massaro di valutarli secondo il prezzo di mercato se si tratta di oggetti preziosi, della metà se sono cose facilmente deperibili, come il grano. Le norme statutarie prescrivevano inoltre che il periodo del prestito non superasse i quattordici mesi da quando era stato chiesto: “ Item passati mesi quattordici dopo saranno imprestati li denari sopra li pegni, subito il massaro sia obbligato a dar notizia a depositari et huomini del monte sotto pena di L. 25 da applicarsi al monte. gli huomini sia obbligati alogare due o tre persone da bene come gli piacera che tenghino in botegha su la piaza di Brisighella li pegni che gli saranno consegnati per vendere e fare incombar detti pegni il trombetta et fatto estimar li pegni per persone esperte con sacramento a loro dato che non compri li detti pegni et accontiati (sic) prima li bollettini delli pegni si che i nomi delli impegnati veder non si possono facciasi incantato detti pegni col trombetta tre giorni della settimana lunedì, mercoledì, et venerdì”. Qualora i pegni fossero venduti a prezzo inferiore a quello pattuito, il massaro ne era responsabile in solido verso il Monte. Al contrario “se più saranno venduti quel più liberamente sia dato a chi di chi senza il detto pegno o vero ai suoi Heredi o vero ad altro che avesse ragione in tal resti per obbligazione contratta per padrone del pegno e se per caso accadesse quello tale negli suoi eredi si trovassimo quello avanzo vada al Monte in suo augumento”.
dai registri contabili reperiti non c’è stato possibile conoscere il patrimonio iniziale del Monte di Pietà, ma attraverso il libro dei partiti sappiamo che esso fu aumentato da vari lasciti, alcuni dei quali di una certa consistenza come quello di Elena Montevecchi.
Si trattò in verità di beni il cui reddito doveva essere devoluto a favore delle Congregazioni  religiose, recita di uffici funebri, o per doti alle zitelle povere (Alcune spese olio della lampada dei PP. Conventuali bolognini 9, per una messa bol. 40, al cappellano di S. Croce bol. 180, per doti alle zitelle bol. 50) pur tuttavia una oculata e attenta

 
amministrazione di questi beni permise ai conservatori di accontentare tutti coloro che chiedevano prestiti fino alla metà del ‘600. Poi supponiamo in buona fede o per il diminuito valore della moneta, vennero lentamente a mancare i fondi per acquistare i pegni e i conservatori furono costretti a chiedere un prestito di mille lire di bolognini alla “Fabbrica della Collegiata”.
Probabilmente nell’intento di risollevare   l’economia il Monte, il 14 novembre 1650, il preposto Spada a nome della direzione della Congregazione Galamina “fece istanza di mettere in questo Sacro Monte una Cassa con effetto di metterci dentro i denari che riscuoteranno in  Roma delli frutti”uoghi di Monte lasciati dal fel. dell’Emm. Car. Araceli di Brisighella per dispensarli alle povere famiglie  e Zitelle”.
Il 27 luglio 1740 una nuova crisi. I revisori dei conti denunciarono all’assemblea un pesante disavanzo di cassa, conseguenza, secondo loro, della scarsità del raccolto che non era stato sufficiente a soddisfare i legati a cui era stato destinato dai testatori, sia perché i conservatori, animati dal profondo spirito di carità , per aiutare i “miseri terrazzani in quest’anno di carestia”, non avevano guardato troppo per il sottile circa il valore dei pegni e così il loro depauperamento era stato ingente.
I conservatori, ascoltata la relazione. elessero quattro di loro i quali preparassero con urgenza un piano di risanamento del bilancio, ma il risultato non dovette essere molto positivo, se il Vescovo diocesano  Antonio Cantoni, venuto a visitare il Monte di Pietà di Brisighella il 17 settembre 1753 (260 anni fa) , lo “trova miserabile e impoverito oltre alla necessità di rifabbricare la Casa del Monte”, raccomanda “di prendersi cura del detto Luogo Pio ormai minato”. due giorni dopo i conservatori chiesero un prestito alla Congregazione Paolina e scudi 200 alla Galamina, onde far fronte alla spesa di restauro della sede su progetto dell’architetto Lorenzo Tomba. Nel frattempo la “Cassa” , in consegna al massaro don Pietro Damiano Spada, fu trasportata presso il Monastero di S. Francesca Romana e i conservatori. limitando prestiti e spese, cercarono di migliorare la situazione del bilancio. Il 23 giugno  1756 furono terminati i lavori di restauro e dai registri risulta che il disavanzo era stato quasi colmato.
Da questa data non abbiamo trovato altro che notizie di normale amministrazione fino alla venuta dei Francesi che, obbligando, il 16 maggio 1768, i depositari a consegnare i pegni ai rispettivi proprietari senza esigere  la restituzione dei prestiti decretarono in pratica la fine del Sacro Monte successivamente incorporato nella Congregazione di Carità. tratto dal libro di Domenico Carroli “Memeorie storiche religiose di Brisighella” 1964

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