martedì 26 gennaio 2016

LA SFIDA DELLE MIGRAZIONI TRA CULTURA E POLITICA


Il dibattito organizzato da Ferrara Bene Comune. Con Eugenio Melandri (brisighellese) e Andrea Stuppini: "Le carenze sono soprattutto a livello locale"

di Anja Rossi  - Il tema migratorio da qualche tempo ha un grande impatto sul sentire comune. Per questo il gruppo Ferrara Bene Comune, che raccoglie comuni cittadini in maggior parte provenienti dall’associazionismo cattolico, ha organizzato oggi l’incontro “Non c’è posto per loro? Radici, impatto e sfide delle migrazioni”, nella sede del centro diocesano Casa Bovelli. A intervenire sul tema sono stati Eugenio Melandri, direttore di Solidarietà Internazionale e presidente di Chiama l’Africa, e Andrea Stuppini, responsabile del servizio politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale della Regione Emilia-Romagna.
Per Eugenio Melandri, è necessario immaginare innanzitutto una società nuova. “I confini sono sempre più labili – commenta – e i rapporti economici non hanno più confini. È come se tra stati esistessero ora dei vasi comunicanti, che è impossibile bloccare”. Serve poi “togliersi dalla testa che l’emigrazione sia solo fuga. L’emigrazione è anche un progetto di vita, in cui si sceglie un altro stato dove vivere, lavorare, formarsi. Dobbiamo cambiare visione, davanti a un mondo che è cambiato”.
La politica, sotto questi aspetti, ha un compito importante per Melandri. “Come spiega anche l’enciclica di papa Francesco, Laudato Si, la nostra è una politica finalizzata ai risultati immediati, una politica che guarda all’oggi e al domani, ma non al dopodomani”. Secondo Eugenio Melandri, il fenomeno della migrazione deve essere valutato insieme agli altri fenomeni, creando un modello di sviluppo e di relazioni sociali in un mondo globalizzato. “Bisogna capire che il modello è cambiato. Serve ora dialogare tra entità forti, facendo valere le conquiste che abbiamo fatto – come sulla questione femminile – altrimenti si diventerà una società di cannibali, dove ci si scanna l’uno con l’altro”.



Per Andrea Stuppini, il problema non è tanto di tipo economico, ma culturale. “Si è sedimentata la paura – sottolinea –, ma occorre fare uno sforzo. Quelle riguardanti gli immigrati sono politiche non facili, ma finora in Italia abbiamo speso pochissimo in materia”. Secondo il responsabile regionale, la carenza è soprattutto a livello locale. “Manca sul territorio un denominatore comune, rapportato alle grandi politiche nazionali. Servirebbero corsi di italiano, come primo punto per favorire l’integrazione, e mediatori culturali, indispensabili per favorire lo sviluppo tra diverse nazionalità”. Già su questi due punti, per Stuppini si riscontra il “grave handicap italiano”, rispetto ad altri stati europei come Francia ed Inghilterra. “Da noi, rispetto ad altri paesi, il corpo migratorio è molto frazionato, essendo presenti tante diverse etnie. In ogni città servirebbero quindi tanti mediatori, uno per ogni nazionalità e lingua, questo ovviamente rende più complessa la gestione”.
La vera questione, ancora una volta, per Andrea Stuppini è politica. “Prendiamo ad esempio la questione della casa. Tutte le polemiche politiche più roventi sulle case popolari, non hanno spesso fondamento se si analizza che si parte da una sproporzione di base: gli italiani sono per il 20 % in affitto, il restante 80% ha una casa di proprietà. Questi dati sono perfettamente ribaltati se si tratta di immigrati. È quindi normale che a questi ultimi andranno in proporzione più case popolari, pensate per aiutare chi ne ha più bisogno”. Così anche le spese per la sanità e di welfare: “In proporzione, loro godono di un 25% di stipendio in meno rispetto a un italiano, ma al contempo sono una popolazione molto più giovane rispetto alla nostra. Hanno quindi meno richieste sanitarie e godono in minor misura del welfare. Tutte le preoccupazioni, analizzando le spese marginali, sono infondate al netto dei dati”. Anzi, conclude Stuppini, “se lavorano, gli immigrati sono un valore aggiunto per il nostro Paese”.




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