lunedì 19 dicembre 2016

I PAESAGGI MINIMI DI DANILO MELANDRI, BRISIGHELLESE, IN MOSTRA AL MUSEO UGONIA


Da sabato 17 dicembre a domenica 5 marzo 2017. Danilo Melandri è nato a Fognano nel 1948. Dopo un'infanzia trascorsa in un luogo dalla vita ancora regolata da ritmi, figure e valori dal sapore quasi atemporale in cui sono ancora di rilievo personaggi come il capostazione, l'arciprete, le suore del convento, il maresciallo dei Carabinieri e i gestori dei pochi luoghi pubblici dai soprannomi identificativi, Melandri si iscrive all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza che frequenta dal 1962 al 1971. Quotidianamente, con un trenino di poche carrozze, percorre un tragitto di andata e ritorno che gli dà modo di inscrivere nello spazio di un finestrino immagini ben conosciute di un paesaggio umanizzato dal secolare lavoro di vignaioli e di contadini. Qua e là flash di storia: una chiesa, un convento, un cimitero, una fila di cipressi, un campanile, una strada, una villa. Emergenze, anche queste, intrinsecamente collegate a precise persone, a eventi, a momenti. Come un novello Proust mitigato dall'ironia felliniana di Amarcord, Melandri assorbe e interiorizza immagini che sano di memoria, di rimpianto e di assoluto. Dopo la scuola, apre un laboratorio ceramico a Faenza in cui si dedica alla riproduzione di ceramiche tradizionali. A poco a poco, sostituisce il repertorio artigianale con la produzione di piccoli oggetti in maiolica policroma (piattini, lastrine, microsculture di pochi centimetri) sui quali annota, con una calligrafia minutissima e immagini realizzate in punta di pennello, pensieri e ricordi di un universo tanto preciso quanto immaginifico. Co
n maniacale pazienza da miniaturista Melandri si dedica, tra naiveté e consapevolezza, a una singolare opera di introspezione dalla quale emergono sia i lontani tempi della fanciullezza, vissuti con un pascoliano amore per la natura e le piccole cose di tutti i giorni, sia i turbamenti provati di fronte a una modernità identificata con un macchinismo pesante, distruttivo e portatore di morte. Si interessa ai prodotti dell’industria pesante che ha fornito il materiale bellico per la Prima Guerra Mondiale e effettua viaggi a Terni per visitare la Società delle Fucine. A Ravenna acquista materiale navale in disuso. Raccoglie e accumula nel suo studio-laboratorio una vera e propria collezione di grandi reperti industriali in ferro che esorcizza nelle sue piccole e fragili opere. Il microscopico e il macroscopico si fondono nel suo immaginario quasi a simboleggiare una condizione umana in lotta perenne contro i mostri da essa stessa generati. Tanto più piccoli sono i suoi disegni tanto più colossali sono i loro contrappesi fisici che lo attorniano nello studio nei lunghi tempi di elaborazione di opere sulle quali annota date, ore, minuti di una lotta impari e ben consapevole della propria inattualità. E Melandri canta cose scomparse o in via di sparizione e, in fondo, la poesia.



 Questo perdente combattimento è raccontato da Melandri con leggerezza e senza toni tragici, con un candore e una immediatezza che richiamano alla mente i migliori esempi di un’arte visionaria, deviante ed esasperata quale quella inaugurata da James Ensor. Anche il segno grafico di Melandri, come in altri maestri della narrazione interiore, è anticonvenzionale e individualistico, minuto e descrittivo: più vicino alle aspre e libere espressioni dei bambini e dei malati di mente (anche nella contaminazione di dettagli figurativi con la scrittura) che ad accattivanti estetizzazioni. Il disagio provato da Melandri di fronte alla realtà si traduce in opere piccole di dimensione e fragili per materia cui corrisponde una figurazione parimenti microscopica, frammentata, disarticolata e irriducibile a ogni convenzionale possibilità di sintesi. Accanto alla chiesa dell'infanzia appaiono, nei suoi disegni, forme umane piccole e nere come formiche, il trenino che si allunga a dismisura, piccoli cimiteri che accolgono memorie di vite, cipressetti che si inclinano al soffio del vento, case e manufatti umani che si deformano allo sguardo del fanciullo che li vede di sottinsù. L'umano e la divinità convivono. Tutto viene trasformato in una visione tanto improbabile quanto plausibile. Figure come la sua sono rare nell’attuale panorama artistico. In tempi di grande rumore, Melandri è riuscito a sfuggirvi.  Figure come la sua sono rare nell'attuale panorama artistico. ln tempi di grande rumore, Melandri è riuscito a sfuggirvi. lnfatti, pur mantenendosi continuamente aggiornato sulle più recenti vicende dell'arte, ha tenacemente coltivato un isolamento, fisico e interiore che gli ha permesso di giungere a una cifra stilistica inedita e spiazzante. La sua marginalità rispetto alle grandi correnti di pensiero e alle tendenze artistiche dominanti è di tale rilievo ed evidenza da rischiare certamente l'inattualità ma anche di indurre coinvolgenti ripensamenti. Senza urli e senza forzature, Melandri disegna quasi non volendo sporcare il foglio, Brevi note su campo bianco, quasi difficili da scorgere. Avvicinandosi, però, si scopre un universo. Poiché, come affermava William Blake, "se le porte della percezione fossero ogni cosa apparirebbe quale essa è, dunque infinita. Franco Bertoni


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