mercoledì 20 giugno 2012

ALDO RONCONI E IL CAPPELLO DEL PRETE



di embycicleta di Gianni Bertoli, “Zio Aramis”
Qualche giorno fa, alla bella età di novantatre anni, se ne è andato Aldo Ronconi. Nato a Santa Lucia delle Spianate di Brisighella vicino a Faenza nel settembre 1918, è stato uno degli interpretati del grande ciclismo di Bartali e Coppi dal 1940 al 1952. Gianni Brera lo aveva definito “trottapiano”, sicuramente non riferendosi alle qualità complessive del corridore quanto alle sue scarse attitudini alle volate. In realtà, Ronconi amava il caldo e le salite. Era un ottimo corridore, troppo debole per essere un capitano e troppo forte per essere semplicemente un gregario. Dalle sue parti divise la popolarità con il talentuoso Vito Ortelli di cui fu anche compagno di squadra alla Benotto. Legnano, Viscontea, Bianchi e Benotto furono le sue squadre. Poche furono le sue vittorie anche a causa delle sue ridotte attitudini agli sprint: un Giro dell’Umbria nel 1940, una tappa al Giro del 1946 e, sempre nel 1946, un Giro di Toscana che gli valse la maglia tricolore di campione italiano, una tappa al Tour del 1947, due tappe al Giro dei Tre Mari del 1949. Al Tour del 1947, disertato dagli assi, fu il capitano della squadra italiana. Indossò per due tappe la maglia gialla e fu vittima, assieme alla maglia gialla Pietro Brambilla, della famosa “imboscata” perpetrata da belgi e francesi nell’ultima tappa che portò alla vittoria finale il “nanone” Jean Robic. Terminata la carriera, Ronconi aprì un negozio di biciclette e articoli sportivi nella sua Faenza. Quel negozio fu, sino a poco tempo fa, un preciso punto di riferimento per gli appassionati faentini. Se la carriera di Aldo Ronconi risulta facilmente consultabile, non tutti conoscono le curiosità ed i retroscena del Giro d’Italia del 1940. Nel 1940 la Bianchi celebrava, si fa per dire, i vent’anni di astinenza dalle vittorie al Giro. L’ultimo successo della casa di viale Abruzzi


risaliva infatti al 1920, quando si impose l’eterno secondo Tano Belloni. Nel frattempo la rivale Legnano era andata al successo varie volte con Brunero, Binda, Marchisio e Bartali. La casa biancoceleste, sicuramente la più facoltosa d’Italia, decise di schierare al via del Giro una vera corazzata: Mario Vicini da Cesena, detto Gaibèra per via dei capelli rossicci, classe 1913, campione italiano in carica, Olimpio Bizzi, il “Morino di Livorno”, classe 1916, Cino Cinelli da Firenze, classe 1916, Adolfo Leoni da Gualdo Tadino, classe 1917, campione mondiale dilettanti nel 1937, Aldo Bini, il Duca di Montemurlo, classe 1915, che da dilettante le suonava spesso a Gino Bartali e Vasco Bergamaschi, detto Singapore per gli occhi orientaleggianti, nato nel1909 aSan Giacomo delle Segnate nella bassa mantovana, già vincitore del Giro 1935. Ma la ciliegina sulla torta era Giovanni Valetti, classe 1913, piemontese, nato a Vinovo e residente ad Avigliana. Valetti, in maglia Frejus, aveva vinto il Giro del 1938 orfano di Bartali e quello del 1939 con Gino presente.
Eberardo Pavesi, l’avocatt di Colturano, mitico direttore sportivo dei ramarri della Legnano, tra una boccata e l’altra dalla sua pipa, aveva di che preoccuparsi. I mezzi della Legnano erano di molto inferiori a quelli della Bianchi. Aveva Bartali, è vero, però il resto della squadra? Pierino Favalli da Soresina, classe 1914, era un buon passista veloce, Mariolino Ricci, padovano residente a Soriano al Cimino, classe 1914, dava affidamento, Secondo Magni da Massarella di Fucecchio, classe 1912, era corridore solido ed esperto, Leonardo Succi, nato a Forlì e residente a Predappio, classe 1915, da dilettante aveva fatto faville in Romagna ma tra i professionisti?
A completare la rosa c’erano due giovani: Aldo Ronconi e Fausto Angelo Coppi, rispettivamente classe 1918 e 1919. Ronconi presentava delle credenziali di tutto rispetto: nel 1939 si era piazzato al secondo posto nel campionato italiano dilettanti, aveva vinto il Campionato Italiano Giovani Fascisti e, soprattutto, aveva vintola Milano-Monacoa tappe. Coppi era stato preso in considerazione da Pavesi che lo aveva visto all’opera un paio di volte ed era approdato alla Legnano grazie ai buoni uffici di Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco di Novi Ligure, che tutto avrebbe fatto pur di non lasciare il corridore al suo “nemico” Girardengo.
Quella di Pavesi era senza dubbio una scommessa ma l’astuto avocatt confidava sui troppi galli nel pollaio della Bianchi e sullo spirito di rivalsa del grande Gino.
Tutti sanno come finì poi quel Giro. Pavesi aveva visto giusto in casa Bianchi ma non si sarebbe mai immaginato la caduta di Bartali e l’exploit di quello “spirlunga” di Coppi. Però, in partenza, sentendosi in stato di inferiorità, le aveva studiate proprio tutte, anche quella dei cappellini. Per meglio riconoscere i suoi ramarri da lontano fece indossare a ciascuno un cappellino di colore diverso, e nella foto della squadra scattata alla partenza del Giro si vede benissimo. Bartali aveva il cappellino bianco, Favalli rosso, Ricci rosa, Succi viola, Magni verde, Coppi giallo e Ronconi nero.
A causa di quel cappellino nero, Aldo Ronconi venne soprannominato “il parroco” o “il prete”.
Da qualche parte ho letto che Ronconi aveva anche un fratello prete. Non so. Certo è che il cappello del prete del Giro d’Italia 1940 era sicuramente quello di Aldo Ronconi.

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