sabato 22 settembre 2012

IL LIBRO DI ENZIO STRADA “OSARE E MORIRE” GIOVANNI PIANORI DETTO “IL BRISIGHELLINO” E L A SUA FAMIGLIA RICOSTRUISCE LA VICENDA UMANA E STORICA BASANDOSI SU DOCUMENTAZIONE PRESSO GLI ARCHIVI DI MEZZA EUROPA.


SE IN ITALIA PIANORI E’ UN “PERFETTO” SCONOSCIUTO BEM DIVERSA LA VALUTAZIONE CHE A LUI VIENE DATA DAGLI STORICI STRANIERI SECONDO I QUALI IL SUO GESTO TEMERARIO EBBE ALLORA CONSEGUENZE POLTICHE INTERNAZIONAL IMPREVEDIBILI: TALI DA CAMBIARE IL CORSO DELLA STORIA.

Giovanni Pianori detto il Brisighellino nacque il 16 agosto 1823 a S. Martino in  Poggio, comune di Brisighella. I suoi genitori ebbero 15 figli. Parte della numerosa famiglia si trasferì a Faenza dove  era più facile imparare un mestiere: chi il sarto come Alessio, chi il calzolaio come Giovanni e Senesio i quali furono “messi a bottega” presso Sante Padovani: uomo integerrimo e profondamente religioso.
Il 16 gennaio 1845,  Giovanni sposò la figlia di quest’ultimo, Virginia. Il 3 maggio  1847 egli divenne  padre di una bambina, Angela.  Il Brisighellino a Faenza si schierò ben presto con coloro che condividevano gli ideali risorgimentali così come venivano riassunti da Giuseppe Mazzini (“Dio e Popolo, Pensiero ed Azione”) e predicati in città pure dal sacerdote barnabita Padre Ugo Bassi. Dall’altra parte della “barricata” c’erano i cosiddetti Sanfedisti e Centurioni che difendevano le ragioni dei Papi di allora convinti che senza lo Stato Pontificio non ci sarebbe stata libertà per la Chiesa. Allo scoppio della Prima Guerra di Indipendenza nel 1848, Pianori partì volontario nel Battaglione comandato dal Conte Raffaele Pasi;  l’anno successivo, a Roma,  egli combattè con Garibaldi alla difesa della Repubblica Romana di cui Giuseppe Mazzini era l’animatore. Di fronte all’intervento dell’Esercito Francese inviato da Luigi Napoleone Bonaparte  ogni resistenza risultò vana.  Coloro che non persero la vita, al loro ritorno a casa, furono perseguitati e costretti a rifugiarsi all’estero abbandonando famiglia e lavoro.




Anche Giovanni andò “ramingo” in Piemonte, in Corsica, a Marsiglia, a Parigi, a Londra…  L’Imperatore dei Francesi era, in quegli anni,  considerato da tutti gli esuli un traditore ed il responsabile primo di tutte le loro disgrazie. Per i Romagnoli, oltre che traditore, egli era un “voltagabbana” In effetti, Luigi Napoleone, da giovane esiliato in Italia,  aveva attivamente partecipato  ai moti carbonari del 1831 e, nel 1848, era stato eletto  Presidente della Repubblica Francese da lui, poi, ugualmente tradita con il  suo Colpo di Stato del 1851.  Secondo Mazzini,  mettere fine ad una tale tirannia sarebbe stato un atto morale, di giustizia, e considerato eroe  chi fosse riuscito a compierlo. Il Brisighellino, nella primavera del 1855, si fece così strumento di un piano ideato dall’esule genovese  secondo il quale la scomparsa fisica di Napoleone III sarebbe stata la scintilla per un moto europeo che avrebbe “portato” all’Unità d’Italia (gli eserciti stranieri erano impegnati nella Guerra di Crimea e nulla avrebbero potuto fare per ostacolare la nostra Indipendenza).  Sabato 28 aprile Pianori sparò due colpi di pistola (andati a vuoto) contro l’Imperatore  che, a cavallo, percorreva i Campi Elisi. Immediatamente arrestato, Giovanni dichiarò subito la sua vera identità rifiutandosi però di fornire i nomi dei complici (nonostante lo avessero posto davanti ad un plotone di esecuzione nel tentativo di farlo parlare). Lunedì 7 maggio, il Brisighellino subì uno sbrigativo, sommario processo al termine del quale fu  condannato a morte  mediante ghigliottina. La sera di domenica 13 maggio, Pianori fu trasferito nella prigione della  Roquette per esservi decapitato all’indomani  all’alba. Durante la notte, varie Autorità di Governo gli promisero salva la vita se finalmente si fosse deciso a fare il nome dei complici: in particolare quello di Mazzini.
 Pianori non tradì nessuno; si limitò a dire: “Saprò morire”.    Quando fu in cima al patibolo, egli gridò forte  “Viva la Repubblica, Viva l’Italia”.  Mazzini rese omaggio al sacrificio del patriota Pianori con parole che egli non aveva mai usato verso nessuno: il Brisighellino - secondo lui - era stato il vero patriota “capace di osare e morire” per la Libertà e l’Indipendenza del nostro Paese. Anche i sette fratelli di Giovanni (Senesio, Alessio, Olinto, Giuseppe, Pompeo, Ireneo, Attilio) furono animati dallo stesso “amor di Patria ” e soffrirono persecuzioni di ogni genere: la calunnia, il licenziamento in tronco, il carcere, l’esilio…;  due di loro conobbero perfino l’inferno della Cayenna ove furono deportati senza processo alcuno. Il libro di Enzio Strada (“Osare e morire” : Giovanni Pianori detto il Brisighellino e la sua famiglia”, Carta Bianca Editore, Faenza, pag.300)  ricostruisce la vicenda umana e storica del Brisighellino basandosi rigorosamente su documentazione esistente presso Archivi di “mezza” Europa.
Se in Italia Pianori è un “perfetto” sconosciuto - quando non addirittura un “brigante, un sicario, uno squilibrato”, ben diversa la valutazione che a lui viene data dagli storici stranieri secondo i quali il suo gesto temerario ebbe  allora conseguenze politiche internazionali imprevedibili: tali da  cambiare il corso della Storia.
(Sintesi biografica di Giovanni Pianori  tenendo conto dei documenti in Mostra presso la Sede della Fondazione in via Naldi 17.  Tutti i documenti  sono messi a disposizione dall’autore del libro “Osare e morire”. Essi sono una minima parte rispetto a quelli che figurano nel testo stampato. Enzio Strada



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