Il dibattito organizzato
da Ferrara Bene Comune. Con Eugenio Melandri (brisighellese) e Andrea Stuppini:
"Le carenze sono soprattutto a livello locale"
di Anja Rossi - Il tema migratorio da qualche tempo ha un
grande impatto sul sentire comune. Per questo il gruppo Ferrara Bene Comune,
che raccoglie comuni cittadini in maggior parte provenienti
dall’associazionismo cattolico, ha organizzato oggi l’incontro “Non c’è posto
per loro? Radici, impatto e sfide delle migrazioni”, nella sede del centro
diocesano Casa Bovelli. A intervenire sul tema sono stati Eugenio Melandri, direttore di Solidarietà Internazionale e presidente
di Chiama l’Africa, e Andrea Stuppini, responsabile del servizio politiche
per l’accoglienza e l’integrazione sociale della Regione Emilia-Romagna.
Per Eugenio Melandri, è necessario immaginare innanzitutto una società
nuova. “I confini sono sempre più labili – commenta – e i rapporti economici
non hanno più confini. È come se tra stati esistessero ora dei vasi
comunicanti, che è impossibile bloccare”. Serve poi “togliersi dalla testa che
l’emigrazione sia solo fuga. L’emigrazione è anche un progetto di vita, in cui
si sceglie un altro stato dove vivere, lavorare, formarsi. Dobbiamo cambiare
visione, davanti a un mondo che è cambiato”.
La politica, sotto questi
aspetti, ha un compito importante per Melandri. “Come spiega anche l’enciclica
di papa Francesco, Laudato Si, la nostra è una politica finalizzata ai
risultati immediati, una politica che guarda all’oggi e al domani, ma non al
dopodomani”. Secondo Eugenio Melandri, il fenomeno della migrazione deve essere
valutato insieme agli altri fenomeni, creando un modello di sviluppo e di
relazioni sociali in un mondo globalizzato. “Bisogna capire che il modello è cambiato.
Serve ora dialogare tra entità forti, facendo valere le conquiste che abbiamo
fatto – come sulla questione femminile – altrimenti si diventerà una società di
cannibali, dove ci si scanna l’uno con l’altro”.
Per Andrea Stuppini, il problema non è tanto di tipo economico, ma
culturale. “Si è sedimentata la paura – sottolinea –, ma occorre fare uno
sforzo. Quelle riguardanti gli immigrati sono politiche non facili, ma finora
in Italia abbiamo speso pochissimo in materia”. Secondo il responsabile
regionale, la carenza è soprattutto a livello locale. “Manca sul territorio un
denominatore comune, rapportato alle grandi politiche nazionali. Servirebbero
corsi di italiano, come primo punto per favorire l’integrazione, e mediatori
culturali, indispensabili per favorire lo sviluppo tra diverse nazionalità”.
Già su questi due punti, per Stuppini si riscontra il “grave handicap
italiano”, rispetto ad altri stati europei come Francia ed Inghilterra. “Da
noi, rispetto ad altri paesi, il corpo migratorio è molto frazionato, essendo
presenti tante diverse etnie. In ogni città servirebbero quindi tanti
mediatori, uno per ogni nazionalità e lingua, questo ovviamente rende più
complessa la gestione”.
La vera questione, ancora
una volta, per Andrea Stuppini è politica. “Prendiamo ad esempio la questione
della casa. Tutte le polemiche politiche più roventi sulle case popolari, non
hanno spesso fondamento se si analizza che si parte da una sproporzione di
base: gli italiani sono per il 20 % in affitto, il restante 80% ha una casa di
proprietà. Questi dati sono perfettamente ribaltati se si tratta di immigrati.
È quindi normale che a questi ultimi andranno in proporzione più case popolari,
pensate per aiutare chi ne ha più bisogno”. Così anche le spese per la sanità e
di welfare: “In proporzione, loro godono di un 25% di stipendio in meno
rispetto a un italiano, ma al contempo sono una popolazione molto più giovane
rispetto alla nostra. Hanno quindi meno richieste sanitarie e godono in minor
misura del welfare. Tutte le preoccupazioni, analizzando le spese marginali,
sono infondate al netto dei dati”. Anzi, conclude Stuppini, “se lavorano, gli
immigrati sono un valore aggiunto per il nostro Paese”.
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