Di L'AcquaBuona • di Marco Bonanni - Una scommessa non vinta mi ha portato
nuovamente a spostarmi. Il posto è piccolo, un monolocale all’ultimo piano di
un residence: un tavolino, due sedie, un letto e un cucinotto che non vedo
quando mi sdraio. E’ tutto quello che ho ma mi va bene così. Fra i due grandi
hotel che mi si parano dinnanzi si apre uno squarcio proprio davanti alla
mia finestra. Da lì vedo il Mare. C’è una scogliera ad arginare alla meglio il
Suo entusiasmo e a delimitare gli spazi fra le acque calme e quelle agitate. O
meglio, fra le primitive e le addomesticate. Che fastidio vedere
quei sassi enormi messi lì con arroganza, come se l’uomo avesse potere sul
Mare. Creando queste barriere si pensa forse di dominarlo? E’ sempre la solita
storia. Una linea insignificante ma che, non si sa come, ci fa sentire potenti
e in grado di controllare gli elementi. Più che una poderosa diga mi sembra un
sottilissimo braccialetto. Dall’altra parte Lui, giocoso e divertito, dolce,
increspato, irrequieto e fragoroso, decide assieme agli altri elementi cosa ha voglia
di fare. Già, la magia degli
elementi. Sono convinto che ognuno di noi a suo modo sia alla
ricerca di una sorta di magia. La magia di un incontro, la magia di un momento
felice, la magia di una canzone, la magia di un sonno profondo, la magia di un luogo,
la magia di quando anche cose impossibili si riescono a sistemare. Se ci
pensiamo bene ogni racconto, ogni vicenda, la storia stessa è impregnata di
magia. E se leggiamo fra le righe ce ne rendiamo conto. Potremmo dire che la
magia esiste? Certo che no, direte voi, “è tutta chimica, fisica e logica
matematica “. Non sono certo qui per convincervi, ma prendiamo per esempio un
argomento che ci accomuna: il vino. Non è forse il risultato di una intesa, di
un’alleanza fra i quattro elementi? Che tramite un quinto viene “corretto”? Un
mio caro amico, nonché grande produttore in quel di Lessona (di cui vi
racconterò ), ci tiene sempre a ribadire che i quattro elementi fanno l’aceto e
non il vino. Ed è vero. Il vino necessita di una sorta di magia. Ci vuole un
quinto elemento che metta d’accordo gli altri quattro. Scusate: un sesto, visto
che per Aristotele il quinto è l’etere, e non vorrei mai entrare in disaccordo
con uno dei Padri del Pensiero, anche perché ci credo. Stavolta l’uomo ne
diventa il maestro, o meglio, gliene viene data la possibilità.
La possibilità di creare una sorta di patto fra terra, aria, fuoco (sole )
e acqua. I Padri del pensiero, sempre loro, sostenevano che l’Amore è
responsabile dell’unione dei quattro princìpi, la Discordia ne è la
separazione. Ecco, l’uomo ha la capacità di creare e di far sì che la
Disgregazione avvenga il più tardi possibile. E’ un sesto senso prettamente
animale? Una conseguenza fisico-matematica? O è l’espressione del quinto
elemento, ossia l’etere? Mi piace pensare che l’intuito sia una sorta di
connessione fra questo mondo e un altro. Quindi voglio credere che sia una
sorta di magia, che avviene in momenti in cui il tuo essere è in armonia e
l’etere ne è il supporto, il binario su cui viaggia l’intuizione. Se non
esistesse l’etere non ci sarebbero i fulmini o le trasmissioni radiofoniche.
Ecco, l’uomo in qualche modo ne ha afferrato l’essenza e ne ha fatto un
nettare.
VIGNE DEI BOSCHI
Il vino non è una bevanda,
è un significato.
Qualcosa che ti mette in contatto con la magia più di qualsiasi altro alimento.
E’ dalla terra però che si parte, e dalle cose apparentemente semplici: come
un incontro fortuito, come un’intuizione. Ed è stato grazie al
caso che ho incontrato Paolo
Babini. Io
, giovincello appassionato
e curioso fra i banchi d’assaggio di Enologica alla sua prima edizione in quel
di Faenza, arrivo sempre fra i primi alle degustazioni, per evitare
la ressa del mezzodì. Leggo la presentazione dedicata ai produttori e nella sua
pagina e ti vedo scritto: Riesling.
Anche se imberbe neofita sapevo trattarsi di un vino importante e celebrato, ma
non certo qui in Romagna!
Non avevo mai sentito dire che i colli di Brisighella potessero esserne delle culle
vocate. Mi avvicino e chiedo. Lui, Paolo, con aria bonaria e compagnona, mi
versa il vino (16 Anime).
Stavo bevendo una cosa che non solo mi piaceva tanto, ma che andava ben oltre
ciò che in quel momento sapevo. Gli anni sono passati, durante i quali non
così spesso l’ho reincontrato. Non come avrei voluto. I suoi vini invece sì, li
ho sempre bevuti, continuavano a migliorare e a sorprendermi, cosa che fanno
tuttora.
E’ un’anima leggera Paolo,
silenzioso, sorridente, curioso, attento. E’ sempre in contatto con
quello che la vita ha preparato per lui, sembra immerso nel gioco, nel gioco di
fare vino. Tutto quello che gli gira intorno viene usato con naturalezza, senza
forzature, non c’è un ragionamento che ne ferma il pensiero e l’azione. Nel suo
modo di fare e di essere è tutto un divenire semplice, sta tutto nella memoria
ancestrale e collettiva dell’uomo e del suo territorio. E con tanta semplicità
Paolo produce il proprio vino. Il suo gioco si chiama Riesling ma anche
Albana, Sangiovese, Pinot Nero, Syrah e Malbo. Usa acciaio, legno e anfora. Le
vigne stanno fra i 400 e i 500 metri, dove i suoli sono fatti di marna,
arenaria, argilla e una parte della famosa vena di gesso che attraversa le
colline di Faenza. Non soltanto i conseguimenti sono tutti da scoprire, ma sei
già in attesa di come sarà il prossimo raccolto. Ecco, i vini delle Vigne dei Boschi non
traducono soltanto il genius loci
ma anche la firma dell’annata. E quando arriva il momento di assaggiare
i vini della vendemmia nuova il tuo approccio mentale è un misto di
eccitazione e curiosità, perché
qui nessuna vendemmia partorisce ovvietà.
E’ un’Albana dai colori
delicati e dai profumi salmastri, ma anche lievi di erbe balsamiche. Ci sono
agrumi, e timo, e maggiorana. C’è il miele così come i canditi e il pepe
rosa. In bocca è fresco, elegante, dritto.
Perséfone 2013 (Albana 100%,
vinificazione in anfora)
Una vena dorata accende il
fondo giallo paglierino. Al naso ho note di burro, tartufo bianco, pinolo,
iris, glicine, nocciola, mallo di noce. Un’acidità fremente -che non mi
aspettavo- porta con sé i sentori del pompelmo rosa, poi del lime e
dell’anguria, e infine di burro. Nel sapido finale, in sottotraccia, ancora
accenti d’agrume.
Poggio Tura 2011 (Sangiovese 100%)
Un divenire di profumi,
colori e sapori. Riconosci cuoio, carruba, tarassaco, visciole croccanti,
menta, cacao, mirtillo, viola, marmellata di ciliegie, burro e origano.
Longré 2008 (Syrah)
Al naso note verdi di
erbe, poi tè nero e pepe rosa, più lievi di resina e agrume. E’ vino dritto,
dalla fresca sensazione fruttata, con ritorni di caffé nella persistenza, e un
alito caldo, ma gradevole, a caratterizzare il finale.
Settepievi 2011 (Malbo 100%
proveniente da un clone di vecchia vigna del brisighellese)
In questo vino mi
sorprende il gusto, che ha un goudron deciso che si fa quasi cacao fondente.
I profumi caldi, nel frattempo, invadono il naso con note di
mirtillo, mora, ciliegie e pepe nero.
Si è fatto tardi
qui, nella piccola mansarda del residence in cui vivo. Ma i rumori
che provengono dal piano di sotto non mi sembrano intenzionati a
conciliare il riposo. Allora controllo questo ultimo scritto: la
grammatica, i pensieri e le emozioni. Chiedendomi se sarò riuscito a
spruzzare fra le righe, qua e là, un po’ di magia. Non lo so. Si è fatto buio e
non vedo (più) il mare. Eppure lo sento borbottare far sé e sé. O forse, fra sé
e me, e mi sta facendo domande, magari mi sta raccontando qualcosa. Ripenso a
Paolo, alle Vigne dei Boschi. Ripenso soprattutto alla magia degli
elementi. Mi sento piccolo e impaurito. Poi mi ravvengo che sono soltanto parte
del tutto, anche di una goccia di vino. Così sorrido, ne prendo atto e provo a
dormire.
Vigne dei Boschi – Via Tura 7/a –
Brisighella (Ravenna) – vignedeiboschi@alice.it
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