Il Parco della Vena del Gesso
romagnola entra nel suo dodicesimo anno di vita - fu istituito il 15 febbraio
2005 dalla Regione - e lo fa ovviamente con entusiasmi, progetti e aspettative
ottimistiche, pur senza nascondere che il
perdurante momento di crisi ha coinvolto anche le aree protette dell’intero
territorio italiano. «La missione principale dei parchi, il motivo stesso
per cui sono stati ideati, ormai un secolo e mezzo fa - spiega il direttore
Massimiliano Costa - resta la conservazione del patrimonio naturale: flora,
fauna, peculiarità geologiche, paesaggio. A ciò si sono aggiunti nel tempo
altri obbiettivi, come lo sviluppo delle attività
sostenibili, prima fra tutte l’agricoltura, la conservazione della cultura
locale e delle tradizioni, la promozione del territorio per un turismo
sostenibile e per la crescita socioeconomica... Tutto sacrosanto, al punto
che queste ultime finalità sembrano aver preso il sopravvento... Ma la
conservazione della biodiversità deve rimanere per noi un faro e in tempi come
questi cerchiamo di sopperire il più possibile alle ristrettezze economiche: ad
esempio coinvolgendo volontari e ricercatori che a fronte di compensi irrisori
svolgono attività di altissimo valore scientifico». Le considerazioni di Costa
non sono di mero lamento e si riferiscono ad esempio alla reintroduzione di
Asplenium sagittatum, una rara felce mediterranea estintasi sulla Vena negli
anni ‘50 del ‘900: da spore di esemplari dell’Arcipelago Toscano, dove
sopravvive ancora una discreta colonia, sono state ottenute piantine poi
collocate in cinque diversi siti, tipicamente ingressi di grotta, previa
verifica delle condizioni microclimatiche, ambientali, di accesso. Un lavoro
lungo e non certo improvvisabile, che ha visto la collaborazione
dell’Università della Tuscia, della Federazione Speleologica, del Wwf
Bologna....«Certo, ma possiamo citare anche il monitoraggio dei pipistrelli in
grotta - aggiunge Costa -, l’inanellamento ornitologico presso il Centro visite
del Carnè, le ricerche sul lupo con fototrappole o le mappature delle specie
floristiche più rare. Si tratta di attività preziosissime e che non dovrebbero
esser lasciate ai ritagli di tempo e di bilancio come invece avviene».
Intanto, per avere un’idea di cosa succede nell’area protetta, basta sfogliare
l’ultimo numero di «Cristalli», la rivista del parco giunta al suo terzo numero
annuale: un servizio sul Cammino di Sant’Antonio, che va da Padova a La Verna e
che vede nella Vena del Gesso uno dei tratti più entusiasmanti (la maggior
parte di coloro che hanno pernottato al Rifugio Carnè nel 2015 sono stati
proprio pellegrini impegnati in questo Cammino); su Monte Mauro «com’era» negli
anni ‘50, con foto d’epoca di feste parrocchiali, personaggi caratteristici e
paesaggi da allora molto trasformati; sulla villa romana di Via Baldina
(Brisighella), scavata dalla Soprintendenza Archeologica dall’agosto 2013
all’agosto 2014; sulle attività (campi estivi, visite guidate, concerti
sottoterra, ecc.) che coinvolgono il pubblico; sulle ricerche speleologiche in
quell’enorme labirinto ipogeo che è la Grotta del Re Tiberio, non più limitata
ai 400 metri «storici» ma oggi estesa per oltre 3 km; sulla fauna fossile della
Cava Monticino, risalente a 6 milioni di anni fa e comprendente specie animali
di savana tropicale; sull’agricoltura tradizionale, con frutti oggi in via di
scomparsa; e infine su uno scarabeo stercorario, legato al bestiame e quindi
divenuto assai più raro, ma ultimamente ripresosi per l’aumento di mammiferi
selvatici quali cinghiale, capriolo, istrice, tasso. (Sandro Bassi) da Sette Sere
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