martedì 16 febbraio 2016

VENA DEI GESSO, UNDICI CANDELINE PER IL PARCO


Il Parco della Vena del Gesso romagnola entra nel suo dodicesimo anno di vita - fu istituito il 15 febbraio 2005 dalla Regione - e lo fa ovviamente con entusiasmi, progetti e aspettative ottimistiche, pur senza nascondere che il perdurante momento di crisi ha coinvolto anche le aree protette dell’intero territorio italiano. «La missione principale dei parchi, il motivo stesso per cui sono stati ideati, ormai un secolo e mezzo fa - spiega il direttore Massimiliano Costa - resta la conservazione del patrimonio naturale: flora, fauna, peculiarità geologiche, paesaggio. A ciò si sono aggiunti nel tempo altri obbiettivi, come lo sviluppo delle attività sostenibili, prima fra tutte l’agricoltura, la conservazione della cultura locale e delle tradizioni, la promozione del territorio per un turismo sostenibile e per la crescita socioeconomica... Tutto sacrosanto, al punto che queste ultime finalità sembrano aver preso il sopravvento... Ma la conservazione della biodiversità deve rimanere per noi un faro e in tempi come questi cerchiamo di sopperire il più possibile alle ristrettezze economiche: ad esempio coinvolgendo volontari e ricercatori che a fronte di compensi irrisori svolgono attività di altissimo valore scientifico». Le considerazioni di Costa non sono di mero lamento e si riferiscono ad esempio alla reintroduzione di Asplenium sagittatum, una rara felce mediterranea estintasi sulla Vena negli anni ‘50 del ‘900: da spore di esemplari dell’Arcipelago Toscano, dove sopravvive ancora una discreta colonia, sono state ottenute piantine poi collocate in cinque diversi siti, tipicamente ingressi di grotta, previa verifica delle condizioni microclimatiche, ambientali, di accesso. Un lavoro lungo e non certo improvvisabile, che ha visto la collaborazione dell’Università della Tuscia, della Federazione Speleologica, del Wwf Bologna....«Certo, ma possiamo citare anche il monitoraggio dei pipistrelli in grotta - aggiunge Costa -, l’inanellamento ornitologico presso il Centro visite del Carnè, le ricerche sul lupo con fototrappole o le mappature delle specie floristiche più rare. Si tratta di attività preziosissime e che non dovrebbero esser  lasciate ai ritagli di tempo e di bilancio come invece avviene».


Intanto, per avere un’idea di cosa succede nell’area protetta, basta sfogliare l’ultimo numero di «Cristalli», la rivista del parco giunta al suo terzo numero annuale: un servizio sul Cammino di Sant’Antonio, che va da Padova a La Verna e che vede nella Vena del Gesso uno dei tratti più entusiasmanti (la maggior parte di coloro che hanno pernottato al Rifugio Carnè nel 2015 sono stati proprio pellegrini impegnati in questo Cammino); su Monte Mauro «com’era» negli anni ‘50, con foto d’epoca di feste parrocchiali, personaggi caratteristici e paesaggi da allora molto trasformati; sulla villa romana di Via Baldina (Brisighella), scavata dalla Soprintendenza Archeologica dall’agosto 2013 all’agosto 2014; sulle attività (campi estivi, visite guidate, concerti sottoterra, ecc.) che coinvolgono il pubblico; sulle ricerche speleologiche in quell’enorme labirinto ipogeo che è la Grotta del Re Tiberio, non più limitata ai 400 metri «storici» ma oggi estesa per oltre 3 km; sulla fauna fossile della Cava Monticino, risalente a 6 milioni di anni fa e comprendente specie animali di savana tropicale; sull’agricoltura tradizionale, con frutti oggi in via di scomparsa; e infine su uno scarabeo stercorario, legato al bestiame e quindi divenuto assai più raro, ma ultimamente ripresosi per l’aumento di mammiferi selvatici quali cinghiale, capriolo, istrice, tasso.   (Sandro Bassi) da Sette Sere

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