Dopo la cacciata degli ebrei da Brisighella che gestivano un banco. Antonio Metelli nel libro Storia
di Brisighella descrive la situazione fosse grave è indubbio, se il Consiglio della Valle fu costretto il 1
ottobre 1545 ad inviare tre ambasciatori al Legato pontificio, perché prendesse
provvedimenti causa “le gravi occorrentiie…et perché li huomini non siano
molestati….et li facinorosi siano crudelmente puniti nell’una e nell’altra”. Nel
1550 l’economia della Valle sembra migliorata, se il consiglio prese in esame i
Capitoli del Monte di Pietà e approvatili, ordinò di estendere la colletta agli
abitanti “di Stifonti e del Castello di Cerone” (Stifonti sorgeva a due chilometri da Cerone che era quattro chilometri da Casola Valsenio), delegando due persone
di fiducia che furono chiamati capitolari. Dopo quell’anno si parla del Monte per altri diciotto anni il
perché ci appare evidente: le risorse
della Comunità sono nuovamente salassate
da ulteriori richieste di denaro, le quali raggiunsero il loro vertice, quando
Alfonso d’Este (Alfonso
Este venne a Brisighella il 22 dicembre
1562 con un fastoso seguito e vi stesse sei giorni. Il governo della valle durò appena cinque anni perché in
disaccordo con Pio IV questioni di Comacchio
e Lugo glielo tolse nel maggio 1565) mandò
un certo Michele Castagnino e rappresentarlo. Il 9 maggio 1568 il Consiglio
della Valle si riunì per la formazione
del Monte di Pietà e approvò la
seguente delibera “ I Signori Governatori di Brisighella et Val Lamone habino
autorita potesta et balia del Consiglio Generale di fare et ordinare a loro
modo il monte di pietà di Brisighella una compagnia di uomini da bene, di buona
coscentia fama habia l’autorità circa il monte che li sarrà concessa et data
dalli Sig.ri governatori per li Cappituli”
Lo statuto, evidentemente di abbisognevole di
ampie modifiche rispetto a quello già approvato nel 1550, ebbe tutti i crismi
della legalità il 27 maggio 1569. Per esso la direzione è affidata ai
conservatori i quali eleggono nel loro seno ogni anno due depositari cui spetta
il controllo amministrativo. Tutte le operazioni contabili e la responsabilità
della cassa sono della competenza del massato, eletto il primo giorno di ogni
anno fra gli abitanti della Valle “esperti e di buona fama” con uno stipendio di venti bolognini. (La moneta fu tolta di circolazione nella seconda metà del
secolo XVII; aveva un valore di circa 90 centesimi nel 1861) Circa i pegni ricevuti si
obbliga lo stesso massaro di valutarli secondo il prezzo di mercato se si
tratta di oggetti preziosi, della metà se sono cose facilmente deperibili, come
il grano. Le norme statutarie prescrivevano inoltre che il periodo del prestito
non superasse i quattordici mesi da quando era stato chiesto: “ Item passati
mesi quattordici dopo saranno imprestati li denari sopra li pegni, subito il
massaro sia obbligato a dar notizia a depositari et huomini del monte sotto
pena di L. 25 da applicarsi al monte. gli huomini sia obbligati alogare due o
tre persone da bene come gli piacera che tenghino in botegha su la piaza di
Brisighella li pegni che gli saranno consegnati per vendere e fare incombar
detti pegni il trombetta et fatto estimar li pegni per persone esperte con
sacramento a loro dato che non compri li detti pegni et accontiati (sic) prima li bollettini delli pegni si
che i nomi delli impegnati veder non si possono facciasi incantato detti pegni
col trombetta tre giorni della settimana lunedì, mercoledì, et venerdì”.
Qualora i pegni fossero venduti a prezzo inferiore a quello pattuito, il
massaro ne era responsabile in solido verso il Monte. Al contrario “se più
saranno venduti quel più liberamente sia dato a chi di chi senza il detto pegno
o vero ai suoi Heredi o vero ad altro che avesse ragione in tal resti per
obbligazione contratta per padrone del pegno e se per caso accadesse quello
tale negli suoi eredi si trovassimo quello avanzo vada al Monte in suo
augumento”.
dai registri contabili reperiti non c’è stato
possibile conoscere il patrimonio iniziale del Monte di Pietà, ma attraverso il
libro dei partiti sappiamo che esso fu aumentato da vari lasciti, alcuni dei
quali di una certa consistenza come quello di Elena Montevecchi.
Si trattò in verità di beni il cui reddito doveva
essere devoluto a favore delle Congregazioni
religiose, recita di uffici funebri, o per doti alle zitelle povere (Alcune spese olio della lampada dei PP. Conventuali bolognini
9, per una messa bol. 40, al cappellano di S. Croce bol. 180, per doti alle
zitelle bol. 50) pur
tuttavia una oculata e attenta
amministrazione di questi beni permise ai
conservatori di accontentare tutti coloro che chiedevano prestiti fino alla
metà del ‘600. Poi supponiamo in buona fede o per il diminuito valore della
moneta, vennero lentamente a mancare i fondi per acquistare i pegni e i
conservatori furono costretti a chiedere un prestito di mille lire di bolognini
alla “Fabbrica della Collegiata”.
Probabilmente nell’intento di risollevare l’economia il Monte, il 14 novembre 1650, il
preposto Spada a nome della direzione della Congregazione Galamina “fece
istanza di mettere in questo Sacro Monte una Cassa con effetto di metterci
dentro i denari che riscuoteranno in
Roma delli frutti”uoghi di Monte lasciati dal fel. dell’Emm. Car.
Araceli di Brisighella per dispensarli alle povere famiglie e Zitelle”.
Il 27 luglio 1740 una nuova crisi. I revisori dei
conti denunciarono all’assemblea un pesante disavanzo di cassa, conseguenza,
secondo loro, della scarsità del raccolto che non era stato sufficiente a
soddisfare i legati a cui era stato destinato dai testatori, sia perché i
conservatori, animati dal profondo spirito di carità , per aiutare i “miseri
terrazzani in quest’anno di carestia”, non avevano guardato troppo per il
sottile circa il valore dei pegni e così il loro depauperamento era stato
ingente.
I conservatori, ascoltata la relazione. elessero
quattro di loro i quali preparassero con urgenza un piano di risanamento del bilancio, ma il
risultato non dovette essere molto positivo, se il Vescovo diocesano Antonio Cantoni, venuto a visitare il Monte di Pietà di Brisighella il 17
settembre 1753 (260 anni fa) , lo “trova miserabile e impoverito oltre alla
necessità di rifabbricare la Casa del Monte”, raccomanda “di prendersi cura del
detto Luogo Pio ormai minato”. due
giorni dopo i conservatori chiesero un prestito alla Congregazione Paolina e
scudi 200 alla Galamina, onde far fronte alla spesa di restauro della sede su
progetto dell’architetto Lorenzo Tomba. Nel frattempo la “Cassa” , in consegna
al massaro don Pietro Damiano Spada, fu trasportata presso il Monastero di S.
Francesca Romana e i conservatori. limitando prestiti e spese, cercarono di
migliorare la situazione del bilancio. Il 23 giugno 1756 furono terminati i lavori di restauro e
dai registri risulta che il disavanzo
era stato quasi colmato.
Da questa data non abbiamo trovato altro che
notizie di normale amministrazione fino alla venuta dei Francesi che, obbligando, il 16 maggio 1768, i depositari a
consegnare i pegni ai rispettivi proprietari senza esigere la restituzione dei prestiti decretarono in pratica la fine del Sacro Monte
successivamente incorporato nella Congregazione di Carità. tratto dal libro di Domenico
Carroli “Memeorie storiche religiose di Brisighella” 1964
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