Da sabato 17 dicembre a domenica 5 marzo 2017. Danilo Melandri è nato a Fognano nel 1948. Dopo un'infanzia
trascorsa in un luogo dalla vita ancora regolata da ritmi, figure e valori dal
sapore quasi atemporale in cui sono ancora di rilievo personaggi come il
capostazione, l'arciprete, le suore del convento, il maresciallo dei
Carabinieri e i gestori dei pochi luoghi pubblici dai soprannomi
identificativi, Melandri si iscrive all’Istituto d’Arte per la Ceramica di
Faenza che frequenta dal 1962 al 1971. Quotidianamente, con un trenino di poche
carrozze, percorre un tragitto di andata e ritorno che gli dà modo di
inscrivere nello spazio di un finestrino immagini ben conosciute di un
paesaggio umanizzato dal secolare lavoro di vignaioli e di contadini. Qua e là
flash di storia: una chiesa, un convento, un cimitero, una fila di cipressi, un
campanile, una strada, una villa. Emergenze, anche queste, intrinsecamente
collegate a precise persone, a eventi, a momenti. Come un novello Proust
mitigato dall'ironia felliniana di Amarcord, Melandri assorbe e interiorizza
immagini che sano di memoria, di rimpianto e di assoluto. Dopo la scuola, apre
un laboratorio ceramico a Faenza in cui si dedica alla riproduzione di
ceramiche tradizionali. A poco a poco, sostituisce il repertorio artigianale
con la produzione di piccoli oggetti in maiolica policroma (piattini, lastrine,
microsculture di pochi centimetri) sui quali annota, con una calligrafia
minutissima e immagini realizzate in punta di pennello, pensieri e ricordi di
un universo tanto preciso quanto immaginifico. Co
n maniacale pazienza da
miniaturista Melandri si dedica, tra naiveté e consapevolezza, a una singolare
opera di introspezione dalla quale emergono sia i lontani tempi della
fanciullezza, vissuti con un pascoliano amore per la natura e le piccole cose
di tutti i giorni, sia i turbamenti provati di fronte a una modernità
identificata con un macchinismo pesante, distruttivo e portatore di morte. Si
interessa ai prodotti dell’industria pesante che ha fornito il materiale
bellico per la Prima Guerra Mondiale e effettua viaggi a Terni per visitare la
Società delle Fucine. A Ravenna acquista materiale navale in disuso. Raccoglie
e accumula nel suo studio-laboratorio una vera e propria collezione di grandi
reperti industriali in ferro che esorcizza nelle sue piccole e fragili opere.
Il microscopico e il macroscopico si fondono nel suo immaginario quasi a
simboleggiare una condizione umana in lotta perenne contro i mostri da essa
stessa generati. Tanto più piccoli sono i suoi disegni tanto più colossali sono
i loro contrappesi fisici che lo attorniano nello studio nei lunghi tempi di
elaborazione di opere sulle quali annota date, ore, minuti di una lotta impari
e ben consapevole della propria inattualità. E Melandri canta cose scomparse o
in via di sparizione e, in fondo, la poesia.
Questo
perdente combattimento è raccontato da Melandri con leggerezza e senza toni
tragici, con un candore e una immediatezza che richiamano alla mente i migliori
esempi di un’arte visionaria, deviante ed esasperata quale quella inaugurata da
James Ensor. Anche il segno grafico di Melandri, come in altri maestri della
narrazione interiore, è anticonvenzionale e individualistico, minuto e
descrittivo: più vicino alle aspre e libere espressioni dei bambini e dei
malati di mente (anche nella contaminazione di dettagli figurativi con la
scrittura) che ad accattivanti estetizzazioni. Il disagio provato da Melandri
di fronte alla realtà si traduce in opere piccole di dimensione e fragili per
materia cui corrisponde una figurazione parimenti microscopica, frammentata,
disarticolata e irriducibile a ogni convenzionale possibilità di sintesi.
Accanto alla chiesa dell'infanzia appaiono, nei suoi disegni, forme umane
piccole e nere come formiche, il trenino che si allunga a dismisura, piccoli
cimiteri che accolgono memorie di vite, cipressetti che si inclinano al soffio
del vento, case e manufatti umani che si deformano allo sguardo del fanciullo
che li vede di sottinsù. L'umano e la divinità convivono. Tutto viene
trasformato in una visione tanto improbabile quanto plausibile. Figure come la
sua sono rare nell’attuale panorama artistico. In tempi di grande rumore,
Melandri è riuscito a sfuggirvi. Figure come
la sua sono rare nell'attuale panorama artistico. ln tempi di grande rumore,
Melandri è riuscito a sfuggirvi. lnfatti, pur mantenendosi continuamente
aggiornato sulle più recenti vicende dell'arte, ha tenacemente coltivato un
isolamento, fisico e interiore che gli ha permesso di giungere a una cifra
stilistica inedita e spiazzante. La sua marginalità rispetto alle grandi
correnti di pensiero e alle tendenze artistiche dominanti è di tale rilievo ed
evidenza da rischiare certamente l'inattualità ma anche di indurre coinvolgenti
ripensamenti. Senza urli e senza forzature, Melandri disegna quasi non volendo
sporcare il foglio, Brevi note su campo bianco, quasi difficili da scorgere.
Avvicinandosi, però, si scopre un universo. Poiché, come affermava William
Blake, "se le porte della percezione fossero ogni cosa apparirebbe quale
essa è, dunque infinita. Franco Bertoni
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